Il Cigno by Sebastiano Vassalli

Il Cigno by Sebastiano Vassalli

autore:Sebastiano Vassalli [Vassalli, Sebastiano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


4

Milano, 5 dicembre 1899

«Ehi tu, terùn! Guarda che qui non siamo mica al Grand Hotel! È ora di muoversi!»

L’inserviente dell’Albergo dei poveri, detto Cerbero, strappò di dosso a Salvatore Cancilli le due coperte numerate che gli aveva dato la sera precedente e lo svegliò, interrompendogli sul più bello un sogno piacevolissimo: uno di quei sogni che forse non s’equivalgono ad una notte d’amore con una vera donna, ma che in qualche modo possono sostituirla. Richiamato bruscamente alla realtà d’una mattina d’inverno in un dormitorio pubblico a Milano, il siciliano inveì contro il disturbatore: «Mannaia lu cunnutu! Vaffangulu!» («Maledetto cornuto! Vaffanculo!») Buttò giù le gambe dalla branda. Guardò ancora con astio l’uomo che l’aveva costretto a svegliarsi e che continuava ad andare attorno per lo stanzone, buttando all’aria le coperte dei ritardatari. Si stropicciò le tempie con i pugni chiusi. Disse ancora, ad alta voce: «Chi mi ti spùnnanu, cunnutu! Jetta sangu!» («Che ti sfondino, cornuto! Butta sangue!»)

Chiuse gli occhi per rivedere un’ultima volta la sconosciuta milanese che fino a un istante prima era stata con lui, nuda e calda tra le sue braccia, e lo aveva amato con tanto trasporto da fargli dimenticare i quattro figli, la moglie siciliana e perfino i preliminari del sogno: dove l’aveva incontrata, quella ragazza così compiacente? Riuscì a rimetterla a fuoco: era piccola, bionda e faceva mille mossettine... Ma proprio nel momento in cui la donna tornava a sedersi lì con lui, sulla sua branda, Salvatore fu risvegliato da uno spintone. La voce di Cerbero tornò ad esplodergli nelle orecchie: «Cosa stai facendo, terùn? Dormi seduto?»

Guardandosi attorno, si rese conto che era davvero tardi e che gli altri siciliani erano già andati via tutti. Tra le brande, restavano pochi disgraziati: qualche barbùn e un paio di tipacci della malavita milanese, che rispondevano alle sollecitazioni di Cerbero chiamandolo struns mal cagà (stronzo mal cagato), bastard (bastardo), e minacciandolo d’aspettarlo fuori per accoltellarlo... Si alzò, un po’ traballante sulle gambe; andò in guardaroba a recuperare il cappotto e la giacca, e mentre indossava quegli abiti di lana troppo grandi e troppo lunghi per la sua corporatura gli tornarono a mente i suoi primi giorni a Milano, quando era arrivato dalla Sicilia in un vagone di terza classe pieno di disgraziati e di disgraziate come lui, chiamati a testimoniare in un processo inutile... In quei primi giorni - ricordò Salvatore - i vicoli intorno al Palazzo di Giustizia si erano riempiti di uomini bassi e bruni con in testa le coppole e di donne avvolte nei loro lunghi scialli neri che gli coprivano anche una parte del viso; a passargli accanto mentre camminavano, si sentivano scrocchiare sotto i loro vestiti i pezzi di cartone e i giornali di cui avevano dovuto imbottirsi per non morire di freddo. Dormivano tutti negli ospizi, nei conventi o nelle sale d’aspetto delle stazioni, e qualcuno era anche finito all’ospedale con una polmonite o con un principio di congelamento; ma poi i giornali milanesi si erano accorti di loro, e la carità pelosa degli italiani del nord li aveva raggiunti e beneficati.



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